Il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, sul Corriere della Sera invoca parità di analisi e una riflessione più equilibrata su un passato complesso e spesso trascurato
di Carlo Longo
In un intervento sul Corriere della Sera, il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha posto l’accento sulla necessità di rivalutare la narrazione storica italiana, ponendo l’anticomunismo e l’antifascismo sullo stesso piano. Il ministro ha richiamato l’attenzione sul caso di Rolando Rivi, un seminarista di soli 14 anni, brutalmente assassinato da partigiani comunisti nel 1945, un episodio emblematico di un periodo di terrore che segnò l’Italia nel dopoguerra.
Sangiuliano ha evidenziato come il Partito Comunista Italiano (PCI) abbia avuto legami stretti con l’Unione Sovietica e abbia perseguito l’obiettivo di instaurare un regime comunista nel paese. Ha inoltre citato episodi di violenza interna al movimento partigiano, come il massacro della Brigata Osoppo a Porzus, perpetrato da partigiani comunisti per divergenze ideologiche.
Il ministro ha poi rievocato figure come Palmiro Togliatti, uno dei massimi dirigenti del Comintern, il quale non solo rimase silente durante le purghe staliniane, ma contribuì attivamente a repressioni e assassinii in nome di un bolscevismo ortodosso. Questa critica si estende anche alle reazioni del PCI di fronte agli eventi internazionali come l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956 e della Cecoslovacchia, momenti nei quali il partito dimostrò un’allineamento incondizionato verso Mosca.
“Il Pci – scrive Sangiuliano – nella stragrande maggioranza, fra cui i più alti dirigenti, giustificò l’invasione sovietica dell’Ungheria del 1956, quando dal partito uscirono per protesta alcuni prestigiosi intellettuali. Nel momento in cui Pietro Ingrao espresse le angosce sulla condanna a morte di Imre Nagy, Togliatti gli rispose: «Non ci pensare, bevi un buon bicchiere di vino e vai a dormire». L’adesione alla violenza sovietica ci sarà anche anni dopo in occasione dell’invasione della Cecoslovacchia. Renato Mieli, acuto intellettuale, giornalista, racconterà in un bellissimo libro, «Deserto rosso», il clima e la sottomissione totale a Mosca di quel periodo”.
Sangiuliano ha poi fatto riferimento alla svolta del Pci, rendendo merito al cambiamento di rotta intrapreso da Enrico Berlinguer negli anni Settanta con l’introduzione dell’eurocomunismo, così come ha sottolineato l’importanza della trasformazione del PCI nel Partito Democratico della Sinistra, seguita alla caduta del Muro di Berlino, indicata come un momento chiave per il riconoscimento delle responsabilità storiche del partito.
Insomma, il Ministro Sangiuliano sottolinea come un giudizio equilibrato e democratico su questa vicende che hanno segnato l’evoluzione del nostro paese dovrebbe considerare con la stessa severità i pericoli sia del fascismo che del comunismo, riflettendo su una storia italiana complessa e a tratti dolorosa, spesso trascurata o parzialmente raccontata.
“Per tutti questi motivi – ha concluso il Ministro della Cultura – se è doveroso e sacrosanto definirci antifascisti perché il fascismo tolse la libertà agli italiani, fece le abominevoli leggi razziali e portò l’Italia in una guerra rovinosa in cui fu sconfitta da chi in Europa occidentale si oppose ai regimi nazifascisti — per inciso, da nazioni guidate da due statisti esponenti della destra come Winston Churchill e Charles De Gaulle — allo stesso modo se si è sinceri democratici bisogna definirsi anticomunisti. La reticenza su questo punto è una spia preoccupante. Nessuno lo ha mai chiesto ad Elly Schlein e sarebbe ora che qualche giornalista prendesse coraggio per porle questa domanda”.
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