di Guido Talarico
Alla fine, e non tra molto, Alessandro Profumo dovrà dimettersi dalla carica di Amministratore Delegato di Leonardo. E questa non è un’indiscrezione. E’ semplicemente una verità che viene dall’analisi dei numeri e dei fatti. Vediamoli. I numeri non brillanti di Leonardo, il nostro campione nazionale nella produzione di sistemi di difesa, sono stati ricordati a più riprese da vari organi di stampa. Quasi tutti, ad esempio, sottolineano che il titolo sotto l’attuale gestione dal 2017 ad oggi è passato da quasi 16 euro ad azione ai 6 euro scarsi attuali. Su un dato ancor più significativo si è invece fatta meno attenzione. Ci riferiamo alla cassa. Dal Rendiconto Finanziario si possono esaminare i margini monetari, quali ad esempio il flusso di cassa operativo e il flusso di cassa al servizio del debito. Da questi, esaminati nella loro sequenza, si possono valutare le condizioni di equilibrio finanziario o meno di una gestione. Non a caso molti analisti al motto “cash is king” valutano le aziende rispetto alla loro capacità di generare o meno risorse finanziarie: se una società genera costantemente moneta, questa sarà in grado di aumentare il suo dividendo, ridurre la propria esposizione debitoria, o effettuare nuovi investimenti. In altre parole “cash is king” riflette per gli investitori la modalità con la quale si giudicano le imprese valutando soprattutto la loro capacità di generare flussi di cassa positivi.
Questa è per l’appunto la prima dolente nota per Leonardo. Una liquidità di 400 milioni a fine trimestre (vedi dati Yahoo Finance), avendo per ricavi un montate di 13 miliardi di euro, è una cifra molto bassa, vicino al livello critico. Il che significa che, pur essendoci linee di credito già accordate dalle banche per circa due miliardi, con un flusso di cassa negativo per circa un miliardo in 12 mesi e solo 400 milioni in cassa, l’azienda per andare avanti non avrebbe altra strada che innalzare il livello di indebitamento. Il che, per una conglomerata dall’alto valore economico e strategico come è Leonardo, non è una questione da poco. E provare a vendere gioielli di famiglia (vedi la ventilata quotazione della controllata Drs, una società che produce dispositivi e software d’ avanguardia per forze militari e agenzie di spionaggio) per coprire la mancanza di liquidità sarebbe un errore nell’errore. Tendenzialmente infatti si dovrebbe vendere per fare investimenti non per coprire la cassa. E che l’azienda sia ben conscia di quanto grave sia la situazione della cassa lo si evince anche da come una serie di partire, in entrata ed in uscita, siano state tutte trattate e allocate nelle varie presentazioni al fine di migliorare i numeri relativi alla liquidità.
Poi c’è il tema di fondo. L’azienda, come dicevamo, continua a perdere valore. Un dato al ribasso che va al di là della contingenza Covid. Come ha ricordato di recente Gianni Dragoni del Sole 24 Ore, il titolo di Leonardo ha fatto “Meno 59,64 nell’ultimo anno. Meno 30,85 negli ultimi sei mesi. Meno 14,74 nell’ultimo mese”. “A questi prezzi – ricorda Dragoni – l’intero capitale di Finmeccanica-Leonardo vale 2 miliardi e 460 milioni di euro. La quota del ministero dell’Economia, l’azionista di controllo che possiede il 30,2%, vale dunque appena 743 milioni”. (Un valore calcolato naturalmente ai dati di qualche settimana fa. La capitalizzazione al momento in cui scriviamo è 3,41 mld ndr).
Un depauperamento che ha messo in allarme anche varie istituzioni a cominciare dal Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza. “Il Copasir ha deciso di porre la sua attenzione sulle questioni inerenti la societàLeonardo, considerata azienda di interesse strategico nazionale. Tale focus sarà indirizzato ad individuare se e quali azioni improprie o speculative interessino questo campione nazionale – ha dichiarata il presidente Raffaele Volpi – Nella seduta odierna il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica si è riunito per un definitivo approfondimento del documento finale sugli asset strategici nazionali nei settori bancari e assicurativi la cui redazione è stata calendarizzata per la prossima seduta al fine della consueta trasmissione alle Camere”.
Una certa apprensione sull’attuale situazione di Leonardo arriva anche dal fronte degli azionisti privati. Giuseppe Bivona leader del fondo Bluebell Partners in vista del cda dello scorso 5 novembre ha scritto al consiglio e agli stakeholder dell’azienda una lettera nella quale si esprimeva preoccupazione per il futuro dell’azienda e si chiedeva fermamente le dimissioni immediate di Profumo. “Le Sue dimissioni – ha scritto Bivona all’Ad – come Le ho già detto più volte, sono un atto dovuto per elementari ragioni di opportunità, dignità e senso dello Stato, non solo a seguito della recente ineccepibile condanna per l’accertata falsificazione dei bilanci di MPS contabilizzando derivati come Titoli di Stato ma anche in previsione del prevedibile rinvio a giudizio coattivo (un fatto che personalmente ritengo certo al pari della sua avvenuta condanna) nel secondo procedimento penale che La riguarda per la falsa contabilizzazione dei crediti di MPS”.
Ma se Bluebell Partners è un piccolo fondo che lavora al fianco dei fondi internazionali e degli hedge fund per tutelare gli interessi anche dei piccoli azionisti e per spingere le società quotate in cui ha investito verso comportamenti etici e verso la buona gestione, ve ne sono altri che invece navigano i mari della finanzia internazionale guidati dall’unica filosofia che conoscono, quella del profitto, e che il motto “chash is king” lo hanno tatuato sulla fronte. In questo senso giova ricordare che dalle comunicazioni diffuse dalla Consob il 17 novembre 2020 si è appreso che dall’11 novembre il fondo BlackRock controlla del capitale di Leonardo una partecipazione aggregata (attraverso 13 società controllate) del 6,352%. Intendiamoci, Leonardo, grazie alla Golden Power che tutela le aziende strategiche, non è contendibile. Ma la presenza di questo tipo d’investitori dimostra come la debolezza della struttura del capitale esponga il titolo di Leonardo a notevoli fluttuazioni con qualche conseguenza sugli investimenti futuri.
Il tema di fondo, per Leonardo come per ogni struttura di valore, è sempre lo stesso. Le competenze servono, ma servono ancora di più quando il business che si gestisce è una un settore sofisticato, strategico e molto specializzato nel quale, per essere riconosciuto e apprezzato, devi operare da sempre e da sempre conoscerne uomini e comportamenti. Leonardo è una azienda che conferma perfettamente questa regola, prova ne sia che il suo declino è cominciato quando ai vertici dell’azienda la politica, dopo la controversa gestione di Giuseppe Orsi, ha messo prima un ferroviere, Mauro Moretti, e poi un banchiere, Alessandro Profumo. Due manager di altissimo valore che nei loro settori di competenza si sono fatti molto apprezzare ma che di difesa, soprattutto a livello internazionale, hanno dimostrato di sapere poco.
Gli ultimi anni infatti sono stati caratterizzati da un’apparente mancanza di strategie internazionali: la difficoltà dei rapporti con gli USA, il ruolo del tutto secondario rispetto ai Peer Europei (Airbus, Thales, BaeSystems…). Insomma, oggi Leonardo appare isolata, quasi fosse lo specchio di un paese vecchio, fermo al passato, incapace di entrare efficacemente nelle dinamiche e nei ritmi del millennio dominato dalla rivoluzione digitale. La fotografia di una squadra di manager provenienti da altri settori, assolutamente non paragonabile a quella dei tempi passati, e legata più che altro al desiderio di Profumo di avere persone “esterne” a questo mondo e più allineate con il suo modo di intendere l’azienda.
E qui veniamo al tema Profumo. Come detto, il banchiere non si discute e tanto meno l’uomo. Ma oggi le circostanze gli sono tutte avverse. La sua condanna a sei anni di reclusione e 2,5 milioni di euro di multa (relativa a quando tra il 2012 e il 2015 era presidente dell’istituto senese) per aggiotaggio e false comunicazioni sociali, dovute alla contabilizzazione in bilancio dei derivati di Banca Mps, stipulati dai suoi predecessori ma presentati nei conti come Btp, cioè titoli di Stato più sicuri dei derivati, ha complicato definitivamente la sua presenza in Leonardo. Questa condanna, benché di primo grado quindi non certo definitiva, mina infatti, soprattutto all’estero, la sua credibilità personale e trasforma un’azienda leader a livello globale in un settore decisivo per il paese, qual è quello della difesa, in un’anatra zoppa. Cioè un’azienda costretta a fare il business corrente ma in estrema difficoltà quando si tratta di competere per commesse nuove o per lo sviluppo di nuovi mercati. E questo è un lusso che Leonardo si è già concessa da un po’, ma che ora, soprattutto per il bene del paese, non è più in grado di concedersi.
Oltre alla condanna per MPS, emessa dal Tribunale di Milano lo scorso 15 ottobre, Profumo, che si dice estraneo ai fatti contestati, poi sconta guai per così dire minori ma per nulla secondari. L’attuale Ad di Leonardo risulta infatti essere tra le 16 persone rinviate a giudizio dal Gup di Bari per il crac Divania. Le accuse risalgono al periodo in cui Profumo era Ad di Unicredit, banca che – secondo l’ipotesi accusatoria – avrebbe messo in atto una colossale truffa ai danni di quello che era uno dei più solidi gruppi imprenditoriali pugliesi. Una vicenda che a Profumo, che da Unicredit era uscito con una liquidazione da 40 milioni di euro, è già costata molto cara. Come riferisce l’Espresso “Per Profumo il blocco giudiziario riguarda solo un quinto dello stipendio (il limite massimo consentito dalla legge) e i conti bancari che verranno via via identificati dalla parte civile: il top manager, infatti, non risulta proprietario di alcun immobile. Stando alle visure catastali, l’attuale numero uno di Leonardo non ha niente di intestato, neppure una prima casa o un box per auto”. E non è finta qui. Mps ha infatti prima deciso di spedire una lettera a Profumo e all’ex Ad della banca, Fabrizio Viola, per interrompere la prescrizione di un’eventuale azione risarcitoria e poi ha anche deciso che non sosterrà più le spese legali dei due nei procedimenti che li riguardano.
Insomma, Profumo ha molte gatte personali da pelare: questioni penali, come abbiamo visto, alquanto delicate. E stare dove sta certo non lo aiuta neppure a difendersi con la dovuta attenzione e libertà. Senza poi dover ribadire che il tutto nuoce gravemente alle prospettive di Leonardo. Se è vero che formalmente Profumo è ancora non obbligato a fare un passo indietro, è altrettanto innegabile che la sua credibilità e il suo standing di amministratore di una grande multinazionale, sono ai minimi.
Questi sono i numeri e i fatti, di cui parlavamo all’inizio, dei quali anche Profumo alla fine non potrà che prendere atto. Ma c’è di più. C’è il fattore politico. Questi numeri e questi fatti stanno costringendo quella parte politica che ha sempre sostenuto Profumo a dover rivedere la propria strategia. Quella parte importante del Pd che ha sempre appoggiato Profumo, apprezzandone le sue capacità di banchiere e il modo in cui ha traghettato una banca di sistema, quale è sempre stata MPS, fuori dalle mortifere acque dell’acquisizione di Antoveneta, è ora alla ricerca di una soluzione che faccia quadrare il tutto. Una soluzione che però partirebbe proprio dall’uscita di Profumo da Leonardo.
Un cambio di guardia fatto ora, prima che il problema della fragilità dell’azienda deflagri (gli esperti parlano di marzo prossimo), potrebbe ancora risolvere il problema. Poi sarà troppo tardi per tutti. Fin qui i fatti, quelli che siamo riusciti a ricostruire parlando con fonti attendibili. Poi c’è il mondo delle ipotesi. Che come tali vi presentiamo. Quella più credibile vede un valzer di poltrone così articolato: Domenico Arcuri, con un Giuseppe Conte ancora in sella, potrebbe effettivamente andare in Cassa Depositi e Prestiti, Fabrizio Palermo, potrebbe finire in Unicredit, con l’obiettivo di risolvere l’ancora annosa questione MPS, e in Leonardo, dopo anni di “stranieri”, si penserebbe ad un manager con comprovata esperienza nel settore. Poi rimane il tema Profumo. Come poter aiutare un vecchio amico in difficoltà? Le vie della politica sono infinite… Un modo per levarlo dai guai si troverà.
Leonardo è una grande azienda. Un’impresa storica che ha reso l’Italia forte e presente nel mondo talvolta in modo addirittura più forte rispetto al peso specifico reale del paese. Al suo interno collaborano ingegneri, tecnici e manager che hanno fatto la storia dell’aviazione e della difesa civile e militare d’Europa. Un patrimonio incredibile di eccellenze pure che fa male vedere non utilizzato al meglio. Allora in un momento del genere, con una crisi dovuta alla pandemia ma anche con le grandi opportunità che arriveranno con il Recovery Plan, sarebbe fondamentale che le istituzioni principali della Repubblica utilizzassero Leonardo per rilanciare un settore strategico e decisivo per il futuro. Lo facessero dotandolo di uomini e mezzi adeguati. Lo facessero mettendo sotto lo stesso cappello tutte quelle aziende pubbliche che oggi si occupano di difesa, ma che lavorano senza coordinamento, senza una strategia unica. Sarebbe il momento giusto per dare all’industria pubblica una nuova missione e al paese un futuro migliore. Senza polemiche di parte, senza strumentalizzazioni. Leonardo da Vinci, quello vero, il genio, ebbe a dire: “Quando camminerete sulla terra dopo aver volato, guarderete il cielo perché là siete stati e là vorrete tornare.” Dopo essere stati lassù, quelli che tra di loro ancora la chiamano Finmeccanica sperano di non dover morire per il Monte dei Paschi di Siena.
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